Diversamente abili
Nel corso degli ultimi anni vi è stata una progressiva sensibilizzazione sulle problematiche dei portatori di handicap e della loro integrazione nel contesto sociale. Ciò ha determinato sicuramente un cambiamento culturale, resosi concreto a volte in scelte operative da parte di enti ed amministrazioni pubbliche (inserimento dei ragazzi diversamente abili nella scuola dell'obbligo, nel 1980, e costituzione della F.I.S.Ha., Federazione Italiana Sport Handicappati, poi divenuta nel 1990 F.I.S.D., Federazione Italiana Sport Disabili). Ma al di là di questa federazione ufficiale, che si occupa anche di sport agonistico, altre che di sport inteso come misura terapeutica, da alcuni anni vi sono state delle iniziative spontanee di inserimento di portatori di handicap, soprattutto bambini e ragazzi all'interno di società sportive di varie discipline. Una di queste esperienze è stata realizzata ed è tutt'ora in corso da più di un decennio anche nel T.S.K.S.
Se l'attività sportiva può svolgere un ruolo importante nell'esperienza di ogni individuo, lo può tanto più per portatori di handicap: non solo dal punto di vista dell'integrazione, delle possibilità che lo sport offre di comunicare e socializzare, ma anche dal punto di vista dell'acquisizione di una maggiore consapevolezza di sè e delle proprie capacità e, nei limiti del possibile, dell'apprendimento di abilità motorie. La disciplina del karate si è rivelata, per le sue specifiche caratteristiche, importante sul piano pedagogico anche per i ragazzi con sindrome di Down e non solo ai fini dell'incremento e del consolidamento delle capacità motorie. Un aspetto principale del karate è, infatti, l'apprendimento delle tecniche fondamentali inizialmente e della loro combinazione nei kata in momenti successivi. Se nell'apprendimento delle singole tecniche è determinante l'aspetto coordinativo-motorio (il controllo del gesto nelle sue componenti dinamiche e spazio-temporali), nella memorizzazione dei kata entrano in gioco anche aspetti specificatamente cognitivi. La pratica del karate contribuisce dunque a sollecitare l'impegno cognitivo: nei casi di insufficienza mentale può costruire una possibilità di realizzare o continuare processi di apprendimento, per di più in una situazione, quale quella della palestra, emotivamente coinvolgente e quindi motivante.
Il karate è uno sport di combattimento: chiama in causa dinamiche aggressive, ma nello stesso tempo richiede concentrazione ed autocontrollo. Determina quindi rilevanti implicazioni emotivo-affettive e il coinvolgimento di aspetti profondi della personalità: il modo di considerare sè stessi, il senso di sicurezza personale, la possibilità di esternare tratti aggressivi, l'affermazione del sè. Anche il ragazzo diversamente abile può in questo contesto acquisire modelli di comportamenti e ruoli affermativi spesso a lui negati (in quanto sempre dipendente dagli altri), che possono aiutarlo a costruire una migliore immagine di sè e quindi ad affrontare in maniera più positiva la propria esperienza. Relazionare con persone diversamente abili sembra a molti difficile e l'assenza di competenze pedagogiche specifiche motiva spesso, quasi come giustificazione, una più personale e generica difficoltà di comunicare con persone che sentiamo "diverse". Eppure un atteggiamento di disponibilità umana, di ascolto e di osservazione, la capacità di differenziare ed individualizzare il proprio insegnamento sono elementi essenziali e determinanti di ogni relazione pedagogica: di quella allenatore-atleta, che è sempre anche una relazione pedagogica oltre che tecnica, di quella con il ragazzo Down che diventa essenzialmente educativa.
Dott.ssa Laura Bortoli, psicologa dello sport