Gara della vita contro la malattia

Data pubblicazione: 13-nov-2013 9.00.59

Buongiorno a tutti!

La vostra vicinanza durante l'operazione mi ha sostenuta e fatto sorridere, in quel contesto è il regalo più bello che si possa ricevere.

Se vi fa piacere vi racconto qualche impressione che ho vissuto.

Sono felice di tornare a vivere una vita piena!

Grazie.

Oss amici.

Vorrei condividere con tutti voi l'emozione che sto vivendo. E' dal 2007 che non faccio più karate, la mia ultima lezione di karate risale al 2007: un indimenticabile stage estivo a Calalzo. Un allenamento molto faticoso per me a causa di una malattia genetica, la fibrosi cistica. I miei polmoni con il tempo hanno perso funzionalità senza possibilità di guarigione. Ogni bronchite mi ha lasciato dei danni permanenti via via più gravi. E' stato così anche quell'anno: a causa di una banale bronchite ho cominciato a portare l'ossigeno. Da allora ho condiviso ogni istante con il prezioso stroller (ossigeno portatile) e le cannucce al naso; il disagio non è il peso dell'apparecchio ma la sensazione di affaticamento, apnea e soffocamento per ogni piccolo sforzo, perfino per consentire la digestione. La paura di restare senza aria. Lavarsi la faccia in apnea, camminare lentamente, desaturare facendo le scale, parlare con difficoltà, stanchezza, tachicardia, mangiare senza appetito e la costante paura di peggiorare con una crisi respiratoria. L'ultima speranza è il trapianto di polmoni. Un'operazione molto impegnativa che 20 anni fa non era possibile.

Tutto questo è solo un ricordo. Il primo ottobre la dottoressa mi ha chiamata al telefono "Flavia, come sta?" Mi sono seduta sulle scale, il mondo è sparito. "Bene, molto bene, dottoressa: sono pronta". "Abbiamo un donatore per lei". Mi sono sentita diventare tutta d'un pezzo, decisa e irremovibile. Il pensiero proiettato verso il futuro, pronta a buttarmi sotto un treno in corsa. Sapevo di non perdere niente e quattro anni e mezzo di attesa mi avevano preparata per questa eventualità.

Il trapianto di pomoni è avvenuto il giorno dopo. Ho salutato mia figlia con il saluto che avevamo convenuto, tratto da un film... Prima che si chiudesse la mitica porta della sala operatoria le ho detto "Vivi libera" e la risposta "Muori da eroe" ha un po' perplesso l'anestesista. L'equipe mi ha accolto con gentilezza e attenzione, lo pneumologo mi ha parlato per mettermi a mio agio, pochi minuti dopo mi hanno addormentata con l'epidurale. Otto ore di sala operatoria, si sono alternati due chirurghi. Mi hanno aperta come un vitello con un taglio sul torace da ascella a ascella, hanno dilatato il diaframma e chissà cos'altro hanno fatto, non voglio sapere. Io ho dormito. Delle voci mi hanno svegliata, ho aperto gli occhi, il medico mi ha detto "Sei in rianimazione, hai fatto il trapianto" Ho fatto un cenno di assenso e ho provato a respirare con la pancia: tutto a posto, il mio nuovo respiro. Niente emozioni però. Ero ancora sedata e l'importante era stare tranquilla, mantenere la calma per permettere al corpo di adattarsi. Non so se si può dire lottare, ma il nemico peggiore in quel contesto è la paura. Se mi avessero detto che c'è un problema essa mi avrebbe assalita, la immaginavo fatta come un baratro profondo e nero acconto a me. Per questo ho cercato di dormire tanto e affidarmi passivamente al destino e nello stesso tempo mantenendo forte il timone della razionalità. Sedata com'ero entravo nel sogno in un istante e ne uscivo altrettanto presto. Chiudendo gli occhi vedevo un soffitto ricamato molto vicino, le decorazioni si aprivano e svelavano le immagini del sogno. Potevo scegliere se sognare o restare vigile.

Il dolore non è stato un problema, considerando l'intervento. Sono stati piccoli disagi come il letto scomodo e il cuscino troppo grande a farmi irritare, le cannucce in bocca, la posizione supina per due settimane, la sete. Quattro giorni e mezzo di rianimazione e finalmente mi hanno trasferita al reparto di chirurgia. Ho bruciato le tappe i medici erano proprio soddisfatti del loro lavoro e dei miei progressi. Ogni giorno un miglioramento. Ho avuto la chiara sensazione di essere io l'artefice della guarigione, più mostravo sicurezza, voglia di fare, di muovermi, autonomia e più i medici erano ottimisti. Non è stato facile mostrare di che pasta siamo fatti noi karateki: mi esortavano a muovermi piano, si stupivano quando mi alzavo a sedere usando gli addominali e sorreggendomi un po' con le mani. Quando scendevo dal letto mi dicevano di farlo lentamente, guai a toccare il pavimento a piedi nudi. Era in quei momenti che sorridevo dentro di me pensando al karate. Alle faticaccia di mantenere la posizione bassa, al dolore ai muscoli, alle vesciche ai piedi, al sudore sulla fronte e al fiatone lungo. Al Maestro che conta fino a 10 ma ci mette anche il devastante 9 e mezzo e 9 e tre quarti... Cosa mai sarà camminare con le gambe che tremano e un po' di fiacchezza passeggera?

In tutti questi anni non ho mai dimenticato il karate, l'ho trasformato in un punto di forza per resistere alla fatica, al panico delle apnee e un punto d'arrivo per mantenere la speranza di una vita nuova. Il tutto insieme al sorriso che nei momenti difficili non deve mai mancare.

Per il momento devo riguardarmi perchè sono immunodepressa ed i farmaci sono piuttosto pesanti, senza dimenticare che i rischi del rigetto saranno sempre presenti. Devo evitare i luoghi pubblici e portare la mascherina. Con il passare del tempo i rischi diminuiranno e, se tutto va bene, un giorno potrò ritornare a faticare con voi.

Che la forza e la gentilezza siano con voi!

Oss