Donne e karate

Pregiudizi infondati, che condannano le arti marziali a pura esibizione di forza bruta, e un condizionamento culturale che ci fa distinguere tra "cose da uomini" e "cose da donne", tengono ancora lontane molte donne dal karate. Le arti marziali sono, secondo un'opinione corrente, poco adatte alla natura delicata delle donne. Il sesso debole. Oppure se ne esalta il solo valore di autodifesa, che pure è indubbio, ma non è tutto, perchè così si trascurano i principi fondamentali che ispirano tutte le arti marziali.

Al karate non interessano i muscoli perchè innanzitutto si tratta di una disciplina di pensiero: "vincere senza combattere", questo è l'ideale del karate. L'assoluta mancanza di paura che deriva dalla fiducia in sè stessi, accompagnata dalla calma, spiazzano l'avversario e rendono inutile ogni esibizione di forza. La pratica assidua del karate costringe ognuno, prima o poi, a fare i conti con sè stesso: chiunque avverte lo stretto legame tra corpo e anima, il vincolo causale tra i movimenti del corpo e la propria personalità. A quel punto si può decidere se indirizzarsi freddamente al più puro tecnicismo, oppure afferrare l'occasione di conoscere sé stessi. Praticare il karate è innanzitutto spogliarsi del vissuto quotidiano (pregiudizi, maschere, ansie, ecc) e farsi ricetto dell'insegnamento impartito con semplicità, noi stessi e basta, con i nostri difetti e qualità.

Non esiste competizione nel karate, se non quella sana di ciascuno con sé stesso per migliorarsi e superare i propri limiti. Nell'eseguire le tecniche si avverte prima la lotta del nostro essere per non fare uscire allo scoperto la parte più nascosta di noi stessi, poi, insieme al rigore dell'esecuzione, la gioia dell'accettarci come siamo. E' importante credere nelle proprie capacità, senza ostentazione, ed avere in mente che il primo avversario è dentro di noi. E' facile dedurre che il karate è adatto agli alti e ai bassi, ai grassi e ai magri, ai biondi e ai bruni, agli uomini e alle donne, e che quello che conta di più è la disposizione interiore.

Durante l'allenamento nessuno pensa di avere di fronte un uomo o una donna e le donne non hanno indulgenze in considerazione della propria natura (è pur vero che talvolta lo sguardo scivola tremebondo nella scollatura del karategi, ma è umano): si annullano le differenze perchè di fronte si hanno solo un corpo e un cervello con una propria intelligenza e capacità di controllare il corpo e dosarne la forza. In altre parole, si realizza nel karate quella parità rispettosa delle differenze, tanto ricercata nella vita quotidiana, perchè tutti seguono la stessa meta, l'allenamento del corpo e della mente, ciascuno facendosi forte delle proprie debolezze, come il maestro del te' della tradizione Zen che affrontò e vinse a duello il samurai opponendogli non la spada ma la tranquilla consapevolezza della propria fragilità.

Una donna che sceglie il karate non crede di avere i bicipiti e i denti di Tyson e non vuole dimostrare di essere un uomo. Certamente provvede solerte al proprio aspetto, ma ciò di cui ha più cura è il suo cervello e non smette mai di migliorarsi. Vive la sua femminilità semplicemente, senza bisogno di dimostrarla e vuole essere giudicata per quello che fa e che dice, per le sue potenzialità e capacità, perchè in lei la forma si è fatta contenuto. Non si sente né sottomessa, né superiore all'uomo, ma si giudica e giudica gli altri come membri della stessa specie animale, operanti nello stesso ambiente. E il karate diventa così prefigurazione della vita umana ideale.

Dott.ssa Francesca Gallori